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COME TERMOMETRO DELLE CITTA'

L'esperienza di Luisa e Pierluigi nel visitare la Libreria Editrice Urso




Ho ricevuto in questi giorni una toccante lettera da due persone speciali, che hanno visitato proprio questa estate la mia Libreria Editrice di Corso Garibaldi 41 ad Avola, due persone che visitano le librerie non solo per comprare le letture da fare, ma anche per conoscere uomini e cose di un territorio.
Il loro modo di vivere le città e la lettura incontrano il mio modo di intendere i rapporti interpersonali nel corso della vita.
Ho gradito molto quel che qui di seguito riporto e che mi piace condividere con gli iscritti alla
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Ho pensato a quanto accaduto e all'immagine che si sono fatti di me e della mia libreria i due originali visitatori.
Ho forse per caso all'inizio della mia attività – forse per missione speciale in fondo in fondo – assunto sempre più in questi anni il ruolo di difesa della civiltà, quasi come se mi trovassi in un bastione di frontiera come quel Giovanni Drogo del “Deserto dei tartari” di Dino Buzzati.
Ecco perché, quando all’orizzonte appaiono due figure come Luisa, o Pierluigi, la mia vita si riempie di senso, in contrapposizione a quello svuotamento di energia per quel continuo mio stare qui, in questo mio angolo, occupato, sì, a promuovere e a mantenere alto il livello dell’offerta di civiltà, ma sempre desideroso di verificare se mi trovi sul cammino giusto, desideroso, come sono, di interloquire, se possibile, con qualcuno, di star a essere utile almeno a qualcuno, visti scomparsi da quasi una ventina d’anni i miei ovvi interlocutori (bibliotecari, professori, studenti, ecc.).
Viviamo (ancora chissà per quanto) tempi tristi sotto tutti gli aspetti e non consola la costatazione che c’è sempre stata crisi attorno alla circolazione del libro in Italia.
E' terribile la situazione attuale, di aggressione dei librai indipendenti anche da parte delle stesse case editrici e delle loro catene librarie...

Dico grazie a questi due amici per la loro scrittura e per aver gioito della visita della mia libreria, in quel che è un angolo di cultura, che ha per davvero il termometro in mano di quella vita particolare di questa città esagonale chiamata Avola, dove vivo la maggior parte della mia esistenza.
Con accadimenti come questo non risolveremo il grave problema che sta vivendo il mondo del libro in Italia. Né questo è sufficiente a farmi dimenticare il quotidiano problema della sopravvivenza economica...
Eppure tutto questo conforta, e distrae da quell'orizzonte, e fa toccare con mano un'estasi che appartiene alle persone che non sono normali... Di questa condizione del mio spirito mi saprebbe descrivere i dettagli il mio amico Erasmo.

Buona lettura a voi!


Francesco Urso

Gentilissimi,  
 
L'estate scorsa, per la quarta volta in Sicilia, alloggiavamo ad Avola, sul mare, ma già la prima mattina, con la scusa di dover acquistare un solare, abbiamo abbandonato il mare e gli amici e ci siamo immersi nella vita che più amiamo.
Non so perché, ma quando siamo in viaggio, ovunque andiamo, ci ritroviamo a cercare per le vie della terra che ci ospita, una libreria, quasi fosse quella, e solo quella, il suo termometro, ed anche quella mattina, subito, quasi ci fosse una sorta di calamita, ci siamo ritrovati nella bottega di Francesco Urso e lì separatamente, come sempre, perché in fondo abbiamo interessi diversi, siamo stati rapiti dai racconti, dalle conoscenze, dai mille stimoli che quell'ambiente, con quelle persone, trasmettono.
Ne siamo usciti, dopo aver acquistato un paio di libri veloci, “da viaggio” amiamo dire, ma rigorosamente di autori siciliani consigliati dai titolari, con un' entusiasmo nuovo per una terra che, comunque, riesce ad entusiasmarci sempre.
Le nostre impressioni coincidevano, il nostro culto per l'essenza delle cose veniva ancora una volta premiato, e devo dire che in Sicilia lasciarsi andare a recepire al di la' dell'immagine e dell'immaginario, premia sempre.
 
Torneremo!


 Luisa e Pierluigi
 

Incontrarsi
Vigevano
In un cammino,
da città diverse e lontane,
di storie di vita
raccontate come
in una poesia
in quella Piazza antica…,

Piazza Ducale,
gioiello rinascimentale,
li, ci siamo incontrati.

Non per caso,
quell’atteso incontro
neppure strano,
ma organizzato,
per gente che ha
fotografato l’anima,
l’ha messa su una tavola
a quel banchetto di umiltà,
dove una delicata voce
e la sua chitarra
hanno raccolto speranze
e verità.

La Vita, fra dialetti
del Nord, del Sud, e
del mio amato Toscano,
con la capacità di regalare
a questo Tempo,
essenzialità.


Sandra Carresi

VIGEVANO 16 novembre 2011
Ecco LE FOTO

DELL'INCONTRO DI POETI, SCRITTORI,
PELLEGRINI DEI CAMMINI EUROPEI E AMICI DELLA LIBRERIA EDITRICE URSO

Insieme nel percorso. Grazie!
Sandra Carresi (Firenze)

Che serata stupenda ho trascorso con gli amici poeti a Vigevano, grazie Ciccio,
sono tornata a Novara in pomeriggio (x lo sciopero dei treni) stanca ma contenta.
Anna Scarpetta (Novara)

Grazie per la bella serata di ieri ; siamo stati veramente bene e mi dispiace poi di esserci persi alla fine per i saluti.
Fai ancora i complimenti a tua moglie per il bellissimo intrattenimento musicale…
Carmela Di Rosa (Alessandria)

Grazie, Ciccio! E' stata una serata piacevolissima e fortemente educativa.
Anna Maria Folchini (Milano)

Davvero..da ripetere. ..dovunque!"
Paola Surano (Sesto Calende (Va)

Ieri sera a Vigevano serata di poesia, canti e racconti.
Liliana Calabrese - bella e dolcissima - ha cantato in molte lingue... italiano, francese, sardo e siciliano.
Non potho reposare dei Tazenda, tra le altre.
Abbiamo recitato versi di amici e di grandi poeti.
Abbiamo mangiato e bevuto, abbiamo condiviso sorrisi e risate, emozioni e pensieri.
Abbiamo ascoltato le voci di camminatori e di viaggiatori. Abbiamo ripercorso strade antiche.
Abbiamo parlato delle nostre speranze.
Siamo stati bene, molto bene.
Grazie Ciccio.
Carla De Bernardi (Milano)

VOLA IN LABORATORIO…la felicità è una piccola cosa, è un bocciolo di rosa
su cui si posa l’ape per  succhiare il nettare  e poi andar via

 

piazza“La nebbia agli irti colli”…già Carducci! E chi non conosce i versi di “San Martino”! E poi questa nebbia che lenta cala in goccioline appesantite dal freddo, chissà perché mi fa pensare al Goldoni, alle dame con la bauta a coprire il volto, le gondole che scivolano lievi tra i canali, ai misteri che si intrecciano tra le calli, ai sospiri della laguna.

Quando c’è luce, con gli occhi riusciamo a seguire le figure che si allontano verso l’orizzonte, ma nella nebbia i rumori si spengono, le luci si sfumano, le impronte si perdono mentre le sagome sembrano dileguarsi in un oltre metafisico, quasi  irreale.

Però… aspetta un momento… oggi il calendario non ricorda quel soldato di Tours che divise a metà il proprio mantello né ci troviamo tra quelle colline dalle fronde spogliate dall’autunno. Siamo, invece, a ridosso di certe “aride sponde” e abbiamo “volti i guardi” alle acque del “varcato” Ticino e questa Piazza Ducale, come tutte le altre, agorà politico e centro di aggregazione sociale della vita cittadina, con questi loggiati che le fanno ala e la rendono snella mentre l’edificio sacro dalla linee insolite e l’andamento sinuoso, la fa apparire statica e ben salda nella maestà della fede, mi ricorda altri luoghi del cuore.

davideGli aghi della temperatura che scende mi punzecchiano il viso e le mani, ma non mi importa…sto aspettando il mio gruppo di amici e questo mi rasserena e mi regala felicità. Alla spicciolata arrivano tutti  così ho l’opportunità di conoscere di presenza  persone che come me amano scrivere e persone esperte dei vari Cammini europei.

Salutare Francesco e Liliana insieme alla loro figlia è rassicurante, ma mi sembra quasi strano trovarli qui, visto che nel mio immaginario sono abituata a seguirli in una realtà geografica ben diversa da questa. Da abili tessitori di trame di fraternità, socializzano cultura e amicizia partecipata e ben sanno che “la poesia ovunque ha la sua valenza/si esprime negli occhi della luce, nelle righe del silenzio” perché “l’essenza della bella poesia serpeggia come lieto/delicato vento” (Anna Scarpetta, “Il mondo della musa”). Sono proprio due anime in un nocciolo loro due, anime affini e diverse nell’intima essenza, ma complementari ed omologati ad un medesimo sentire giusto come quella “mandorla siamese” della foto di Fabio Montalto nella silloge poetica di Cettina Lascia Cirinnà.

Filosofi puri di vita come pure dell’arte della paziente maieutica mettono in atto certe upanisad, riuscendo anche a  trasmettere un tipo di insegnamento mistico.

Immersa in questo bellissimo convivio, mi sento tra l’Olimpo e il mare, su quel monte Pimpleo dove risiedono le muse e pur nella mia carresiesuberanza di carattere, nella sempre meno conclamata allegria, non incline alla reticenza e alla misantropia ma  più all’apertura verso l’esterno mi piace dare spazio agli altri, fare largo a chi ha qualcosa da dire, ascoltare chi ha qualcosa da proporre e da insegnare, accogliere senza riserva gli intenti e i desideri degli altri, pronta a percepire i battiti di chi come ama le lettere ed il potere multiforme della poesia. Ecco perché mi sento di dire che anch’io “ho visto il passaggio delle stagioni,/ho respirato le loro fragranze,/ho sentito lo schiaffo del vento /e il bacio del sole./…ho avuto paura e ho gioito” (Sandra Carresi, “Alle mie ragazze”).

E mentre ascolto le  bellissime rime declamate in dialetto siciliano da Carmela Di Rosa e quelle proposte dalle altre amiche (Paola Surano, Sandra Carresi, Anna Maria Folchini Stabile), il discorrere di chi riesce a cogliere gli attimi dell’esistenza, i racconti di quanto riportano il proprio vissuto da pellegrini (Cristina Menghini, Alessandro Ghisellini, Luciano callegariCallegari, Lalla Fumagalli, Giuliano Mari, Ruggero Giuseppetti, Stefanino Valmadre, Riccardo Latini, Carla De Bernardi), lo stesso parlare dell’Editore Urso che mi fa pensare ai colori fulgenti della sua terra, mi salgono alle labbra i versi in cui la Dicknson dice che la felicità è una piccola cosa, è un bocciolo di rosa su cui si posa l’ape per  succhiare il nettare  e poi andar via. Così mi vien fatto di paragonare questo momento di coralità sia a quel “girasole impazzito di sole” immortalato da Montale sia a quello riportato sulla copertina della raccolta poetica “Poesie di un pellegrino”, lette dallo stesso autore (Davide Bove) e mi dico che stasera noi siamo i petali di quel fiore splendente ed anche api che aspirano nettare prezioso che si sprigiona da questa relazione umana e ci fa sentire parte di un magma che fluisce dai pensieri; e siamo anche chicchi di una “risata gialla e dura”, serbata intatta in quella pannocchia celebrata da Federico Garcia Lorca.

carlaIn situazioni come questa il sentire si condensa in sensazioni forti ed impresa ardua diviene il voler ingabbiare i pensieri e ordinarli in categorie già stabilite mentre le idee si accavallano nella mente e gli affetti galoppano nelle emozioni.

E Liliana, donna dalle mille risorse e all’apparenza fragile come giunco ma in verità robusta come quercia, mette cuore nell’espressività del canto mentre le dita pizzicano le corde e  fermano le note sulla tastiera della chitarra; ogni sfumatura della sua voce cattura perché sa ben interpretare sillabe e parole, incanti e musica.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme” (Italo Calvino ne “Le città invisibili”). A noi, però, non interessa certo scegliere la via più facile, accettando l’inferno fino a diventarne parte integrante e non vederlo più solo perché nella società attuale “si è passati a un atteggiamento distaccato verso un mondo oggettivo, esterno che però non ha più in sé nessun fondamento etico” (G. Germani, “Tiziano Terzani: la rivoluzione dentro di noi”). A noi interessa scegliere la via più rischiosa, attuando “attenzione e apprendimento continui” dato che “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare , e dargli spazio”(Italo Calvino, o.c.).

cristinaOccorre per questo tenere presenti i fini primari della vita umana quali interesse, amore, doveri etici e religiosi, liberazione intesa quale libertà, riposo, felicità e rinascita che significano trascendere gli stessi scopi della vita. Ecco perché i nostri passi  muovono verso Itaca e “…questo viaggio ci porta ad indagare quella cosa, in fondo misteriosa, che è la nostra mente, al cui interno sussistono tanto la pace, la calma aurorale e beata, quanto l’avvicendarsi conflittuale e bellicoso dei rapporti con il mondo” (G. Germani, o.c.). Pertanto ciò che ci aspettiamo dal nostro viaggio, sia esso reale, onirico, surreale, fantastico è la capacità di non perdere mai la speranza e mantenere la tenerezza, inventare mete e raggiungere obiettivi, riuscire a tenere nel palmo della mano un granello di sole e temere il buio, voler accettare e capire il silenzio e non aver paura del rumore della folla, gridare al vento parole senza senso e commuoversi per un cielo stellato o “un passerotto morente”. E solo quando saremo in grado di acciuffare ciò che da sempre andiamo cercando, potremo dire di non aver “vissuto invano” anche perché “La meta della vita é un viaggio di cui (noi stessi non sappiamo) un granché, tranne la sua direzione (che) è dal fuori verso il dentro e dal piccolo sempre più verso il grande” (Tiziano Terzani).

tavoloItaca è incertezza e certezza,  miraggio e realtà, sogno e risveglio, cammino e stasi e tutti i Lestrigoni e i Ciclopi tanto temuti non sono altro che gli ostacoli da noi stessi creati, pensando che non possiamo perché come afferma Jorge Bucay “…andiamo in giro incatenati a centinaia di paletti che ci tolgono la libertà” e “l’unico modo per sapere se possiamo farcela è provare, mettendoci tutto il cuore… tutto il nostro cuore”. E questo concetto è anche l’essenza di quanto di volta in volta sono andati enunciando i pellegrini  che hanno partecipato la loro esperienza di uomini liberi nello spirito e nei pensieri, uomini desiderosi di raggiungere quella meta che si è profilata in lontananza, quel richiamo che ha invaghito le loro menti, consapevoli che  in fondo sempre “C’è un sentimento/quando guardo a occidente/e la mia anima/brama/ di partire” (Led Zeppelin).

Ma Itaca è anche ritorno, è riposo, è casa, è sicurezza, è serenità, è famiglia ed il talamo segreto, costruito e modellato sui rami del vecchio olivo, sarà sempre simbolo dell’uomo che  dopo aver esaudito il proprio bisogno di conoscenza e aver  sfidato “i mostri sulla via” e “Positone asprigno” torna all’isola che gli “ha dato il bel viaggio” (“Itaca”, K. Kavafis).


ciccioItaca… simbolo e dannazione di quel viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda e che fa percepire quel senso d’appartenenza di cui l’essere umano ha così tanto bisogno è assai gratificante come recondita armonia. “Tutto ha un significato psichico, una casa, un luogo, un avvenimento, al di quello apparente. Infatti ad ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in ciascuno di noi una realtà molto più vera e profonda e in questo passaggio il senso dei simboli ci aiuta ad andare oltre il visibile; il “vedere dentro” trascende il linguaggio attraverso certi veicoli di significato quali le metafore, le allegorie, le similitudini”. “Multas per gentes e multas  per aequora vectus” (V. Catullo) mi dico quando appoggio di nuovo i passi sul marciapiede della stazione di S. M. Novella e penso che non “Vi è felicità più grande…/la mente libera… e a casa /si torna per poi riposare nel letto sospirato” (V. Catullo, “A Sirmione”).

E Itaca è anche questo: partire per  poi ritornare, cogliendo l’attimo fuggente e affidandosi al domani quanto meno possiamo anche perché si prova una gioia infinita quando riusciamo a realizzare ciò che in cuore era desiderato (dai poeti Orazio e Catullo).

Itaca è una speranza viva, una chimera, un sogno da destare, un faro verso cui dirigere la rotta; Itaca è una “valle dell’ozio”… uno spiazzo più o meno ampio, uno spazio mentale più o meno piccolo che ognuno di noi può trovare nel suo atlante psichico personale” (Salvatore Di Pietro, “Nella valle dell’ozio”). Talvolta nella vita ci troviamo come in quel tratto del Cammino che va da Saint Jean Pied-de-Port a Roncisvalle… il più impervio, il più difficile a superare, banco di prova delle forze fisiche e di quelle interiori di ciascun pellegrino e si ha timore di non farcela perché la forza d’animo viene meno, ma “poi sopraggiunge una forza, una forza strana che non puoi misurare o controllare, una forza sconosciuta, oscura, mai sentita che ti trascina di nuovo dentro (alla vita) e non sai come e perché” (Letterio Pomara, “ La Fuerza del Camino”).

Così “Come le api raccolgono il nettare/da piante diverse e miele ne fanno/ unendo l’essenza,/ e più non è possibile distinguere/il nettare di questa dal nettare di quella,/così le creature si fondono nell’Essere./… non importa ciò che sono sulla terra./Tornano all’essere/all’essenza più fine/al sé di tutto il mondo” (dalle “Upanisad”).

Lucia Bonanni

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